Nel luogo preciso dove oggi s’innalza la Chiesa di Santa Croce e dove i buoni parrocchiani si recano oggi a pregare, si prega da oltre duemila anni. E’ sicuro che un tempio etrusco, almeno fin dal II secolo a.C. si trovava dove c’è la chiesa, ma si ignora la divinità a cui era dedicato. La zona in cui sorgeva il tempio, probabilmente al di fuori della prima cinta muraria della città di Arezzo, costruita dagli etruschi con grandi blocchi di pietra verso il 500 a.C., venne a trovarsi all’interno della seconda cinta costruita, tutta in mattoni, verso il 250 a.C., alla estremità orientale. Su di un importate decumano (via in direzione est-ovest) sorse il tempio e poco distanti vi furono costruiti il teatro ed un edificio termale; nei pressi, per lungo tempo, una fornace per la cottura dei mattoni dette guadagno agli operai della zona. Verso il 500 d.C., alla fine dell’epoca romana e all’inizio delle incursioni e dominazioni barbariche, la città di Arezzo, impoverita e assai ridotta nella sua popolazione, si ridusse sulle due alture che ebbero il nome di S. Pietro (attuale altura del Duomo) e di S. Donato (attuale altura della fortezza), ma specialmente su quest’ultima che venne difesa da una cinta muraria rabberciata alla meglio sfruttando superstiti tratti delle vecchie mura etrusche: e la zona si S. Croce venne di nuovo a trovarsi fuori del perimetro della città altomedioevale. Frattanto era avvenuta la completa conversione al cristianesimo degli aretini; il tempio pagano di cui si è parlato, come gli altri della città, appena cessato il vecchio culto, divenne probabilmente una chiesa cristiana ed è quanto mai significativa la nuova dedicazione alla Santa Croce, dalla quale è venuta la vera salvezza dell’umanità. Ma per tutto il lungo ed oscuro periodo dell’alto medioevo (cioè dal VI al X secolo compreso) nulla sappiamo della chiesa di S. Croce se non che doveva già, probabilmente, esistere. Intorno al Mille anche la città di Arezzo, come le altre d’Italia, appare destarsi a nuova vita: aumenta la popolazione, l’agglomerato urbano riprende ad espandersi. Verso il 1100 accanto alla chiesa di S. Croce viene fondato un monastero di Monache Benedettine che nei documenti dei secoli seguenti sono chiamate col suggestivo nome di “Signore di Santa Croce”. Dalla città in direzione della Chiesa cominciò presto a formarsi un “borgo” di abitazioni il quale non fu interamente racchiuso nella nuova cinta di mura, costruite verso il 1200, che ad oriente terminava dove oggi si trova la piazza di Porta Crucifera; ma sia la chiesa di S. Croce che il borgo (nel frattempo fattosi più esteso) vennero inglobati nella cerchia di mura fatte costruire dal vescovo Tarlati a partire dal 1319. E fu probabilmente al tempo dell’espandersi del borgo che la chiesa di S. Croce ricevette titolo e doveri di parrocchia. Il monastero delle Monache Benedettine ebbe vita fiorente per circa quattro secoli; nel 1547 Cosimo I dei Medici fece sloggiare le suore in altra parte della città sia perché il monastero, venutosi a trovare fuori della nuova cinta muraria da lui fatta costruire, fosse sicuro dagli oltraggi di nemici e predoni, sia per non avere impacci nel sistemare le opere difensive nelle vicinanze della fortezza. E il monastero venne raso al suolo dopo che le monache furono partite portandosi con sé le due cose più care: il corpo della beata Giustina, una meravigliosa santa aretina vissuta tra il 1257 circa ed il 1319 (per quasi due secoli era stato esposto alla pubblica venerazione nella chiesa di S. Croce dove si celebrò pure a lungo una solennissima festa in suo onore il giorno 12 marzo, anniversario della morte) ed il titolo di “monache di S. Croce”. Le carte più antiche del loro prezioso archivio si conservano ancora oggi nell’Archivio Capitolare nel fondo “Carte di varia provenienza”: con catalogo fatto nel 1870 dal canonico Luigi Paci. Il monastero fu distrutto ma la chiesa parrocchiale rimase. Fu quasi un miracolo se si pensa che il tiranno Cosimo I fece radere al suolo sia il centro sacro di Pionta sia il centro civile medioevale della città. Ed era un gioiello architettonico costruito, dopo l’abbattimento del precedente edificio religioso, nel corso del XII secolo. Purtroppo la radicale distruzione del monastero del 1547, le successive manomissioni e i periodici restauri e rifacimenti avvenuti nel corso dei secoli ed infine il bombardamento che durante l’ultima guerra mondiale sventrò letteralmente la chiesa, ci hanno lasciato ben poco de quel gioiello. Per dare una idea cito quanto ebbe a dire il Sprintendente Ubaldo Lumini che, con la guida ed il consiglio del prof. M. Salmi, ebbe a curare il rifacimento post-bellico: “La chiesa di S. Croce, già annessa ad un monastero di monache, ha riflessi di quell’eclettismo proprio dell’ambiente monastico, specie nell’Aretino. Attribuita al secolo XII, fu già notato (Salmi) che l’abside poligonale all’esterno, conservato nella sua struttura originale, è la parte più suggestiva dell’edificio ed è una tarda risonanza di modi ravennati, ma ha un coronamento ad archetti semi circolari e pensili alla moda lombarda, come, forse, il soprastante finale in cotto a zig zag…La facciata, banalissima ed intonacata, fu distrutta dalla guerra, ma è stata ritrovata, ad un metro circa sotto il livello stradale, la sua parte inferiore con tracce di paraste angolari e tracce di risalti presso la porta, che ne hanno permesso la totale ricostruzione, secondo il tipo di parametro rinvenuto, lungi da fini imitativi, ma solo allusivi, anche nella bifora, che si è preferita ad un occhio dati i precedenti inesistenti nell’Aretino (Badia di Loro Ciuffenna, Badia di Castiglion Fiorentino, Badia di Campriano). Ecco cosa scrive U. Lumini: “ Un metro e venti al di sotto del piantito della chiesa rialzato nei secoli, è stato trovato l’impianto originario, soprattutto nella zona del presbiterio, dove rimangono i larghi avanzi di smalto in mattone pesto, quadrelli in pietra e pozzolana, che da all’impasto maggiore durezza. Questo ha permesso di riportare l’altezza della chiesa alle proporzioni originali, di risolvere tanti problemi, ma specialmente quello della facciata, essendosi ritrovata quella originale per un metro d’altezza: con due lesene agli angoli aggettati di 10 cm. Su di un fondo in pietrame squadrato e pulito come il perimetro dell’abside; le lesene in grossi blocchi in pietra concia aggettano su un muro di pietre irregolari, disposte a filetto, intramezzate da sassi murati a madonna, simili agli stipiti della porticina laterale. Come là un pezzo di travertino raccogliticcio, come là la malta è pozzolana pura. Intorno alla porta laterale di sinistra sopra l’architrave monolito. Gli stipiti più interni sono blocchi monoliti in pietra concia”. Il portale aveva struttura lombardeggiante a confermare quello detto per l’abside. All’interno, la chiesa presenta un interno di particolare fascino: semplicissimo ispira raccoglimento e silenzio. Si sono rinvenute, nella calotta dell’abside stessa, tracce di bacini, con intenzioni acustiche, come ha dimostrato il De Angelis d’Ossat, nel notare tale particolarità in varie chiese romaniche, rara caratteristica di vasi in terracotta, e quindi originali, inseriti per migliorare la risonanza dell’edificio. Segno visibile della cura per il suono nella città dove visse il grande Guido d’Arezzo! Infine, in pianta la prima chiesa sembra essere stata a pianta rettangolare e abside, forse con una piccola cripta semicircolare. Verso la fine del XII secolo o ai primi del XIII venne rifatta l’abside ed aggiunte le cappelle laterali che furono messe in luce, durante i lavori, con l’individuazione di tracce delle due cappelle laterali absidate, scomparse per l’apertura di una pubblica strada, a sinistra, e per la demolizione del monastero a destra. Queste cappelle alludevano ad una caratteristica delle chiese d’oltralpe, soprattutto d’irradiazione germanica, elemento che si piega, appunto, con il fatto che la chiesa di S. Croce era un edificio monastico. Il campanile è stato ricostruito a vela, come doveva essere quello originario, in sostituzione di quello a torre che i più anziani ricordano. E la colonnetta abbinata che si vede nell’interno sul lato sinistro era quella che stava nell’antico campanile. Non faceva parte dell’antica chiesa ma vi è stata, di recente, portata la grande pietra, rozzamente scolpita, che costituisce il basamento dell’altare, qui portata dalla chiesa di S. Angelo di Capo Monte. Raffigura il sacrificio della Antica Alleanza (sacerdote che immola un agnello) e quello della Nuova Alleanza (pane e grappolo d’uva: Eucaristia).
Negli anni 2010-2020 è stata arricchita da copie, dipinti su tela, dell’artista Adelmo Panci (L’Annunciazione, il Gesù Misericordioso e la Madonna che scioglie i nodi) e dalla statua della Vergine con il Bambino venerata come la Vergine della Misericordia (offerta dal gruppo Caritas e restaurata dallo stesso Adelmo Panci). Sull’altare laterale a sinistra è posta una pala di piastrelle di ceramica decorate donata dagli studenti del Liceo Artistico “Petrarca” di Arezzo raffiguranti la vita di Gesù. La Parrocchia di S. Croce è stata fino al 1921 l’unica parrocchia fuori le mura e pertanto la si può definire la madre di tutte le parrocchie della corano della città di Arezzo. È la chiesa del Quartiere di Porta Crucifera: qui avviene la benedizione dei cavalli che corrano per la “Giostra del Saracino” e i quartieristi si ritrovano per le feste patronali del Quartiere.
Il suo particolare fascino, semplicissimo, che ispira raccoglimento e silenzio, piccola ma bella e ricca di storia, S. Croce non è parca di vera gloria, e invoglia i suoi figli alla preghiera.